Israele non ha il diritto di difendersi (N. Erakat, 2012)
Noura Erakat su "Jadaliyya", pubblicato nel 2012 e ripubblicato l'11 luglio 2014, dopo che Israele ha definito "legittima difesa" gli attacchi del 2014.
Nel quarto giorno dell’offensiva di Israele [2012] contro i gazawi, il presidente Barack Obama ha dichiarato: “Nessun Paese al mondo tollererebbe missili che piovono sui suoi cittadini da oltre i suoi confini”. Echeggiando le dichiarazioni ufficiali israeliane, ha cercato di presentare gli attacchi aerei di Israele contro la Striscia di Gaza, un’area di 360 chilometri quadrati, come un legittimo uso della forza armata contro un Paese straniero. La capacità di Israele di presentare il suo assalto a un territorio che occupa come diritto di autodifesa è un affronto al diritto internazionale.
Uno Stato non può sia esercitare il controllo su un territorio occupato sia attaccarlo militarmente sostenendo che è “straniero” e costituisce una minaccia esogena per la sicurezza nazionale. Facendo ciò, Israele sta rivendicando diritti coerenti con il dominio coloniale, ma incompatibili col diritto internazionale.
È vero che l’applicabilità del diritto internazionale dipende largamente dal consenso e dalla conformità volontaria degli Stati. Mancando la volontà politica di regolare il comportamento degli Stati, le violazioni sono la norma piuttosto che l’eccezione. Tuttavia, visti i deliberati sforzi di Israele di reinterpretare e plasmare le leggi, sin dal 1967, sui territori occupati, è utile esaminare quanto afferma il diritto internazionale sul diritto che ha un occupante di usare la forza. Questi sforzi si sono notevolmente ampliati dall’inizio dell’insurrezione palestinese nel 2000, e se avessero successo, la reinterpretazione di Israele ridurrebbe la legge a uno strumento che protegge l’autorità coloniale a scapito dei diritti dei civili.
Israele ha il dovere di proteggere i palestinesi nell’occupazione
L’occupazione militare è uno status riconosciuto dal diritto internazionale: dal 1967 la comunità internazionale ha designato la Cisgiordania e la Striscia di Gaza come territori militarmente occupati. Finché l’occupazione continua, Israele ha il diritto di proteggere se stesso e i suoi cittadini dagli attacchi dei palestinesi nei territori occupati. Tuttavia, ha anche il dovere di mantenere l’ordine pubblico, noto anche come “vita normale”, nel territorio occupato. Questo è un obbligo non solo a garantire, ma a dare priorità alla sicurezza e al benessere della popolazione occupata. Questa responsabilità e questi doveri sono elencati nella Legge sull’Occupazione.
La Legge sull’Occupazione fa parte delle leggi del conflitto armato; contempla l’occupazione militare come esito di una guerra ed elenca i doveri della potenza occupante finquando la pace è ristabilita e l’occupazione termina. Per adempiere ai suoi doveri, la potenza occupante può utilizzare poteri di polizia, o la forza necessaria all’applicazione della legge. Come stabilito dal Tribunale Militare degli Stati Uniti durante il processo degli ostaggi (Stati Uniti d’America contro Wilhelm List, e altri):
Il diritto internazionale pone la responsabilità al comandante generale di preservare l’ordine, punire il crimine e proteggere vite e proprietà nel territorio occupato. Il suo potere nel raggiungere questi scopi è tanto grande quanto la sua responsabilità.
La portata e l’ampiezza della forza costituiscono la differenza tra il diritto di autodifesa e il diritto di polizia. L’autorità di polizia è limitata alla minima quantità di forza necessaria per ripristinare l’ordine e sopprimere la violenza. In un contesto del genere, l’uso della forza letale è legittimo solo come ultima risorsa. Anche quando la forza militare è considerata necessaria per mantenere l’ordine pubblico, è circoscritta dalla preoccupazione per la popolazione civile non combattente. La legge dell’autodifesa, invocata dagli Stati contro altri Stati, offre, tuttavia, uno spettro più ampio di forza militare. Entrambi sono legittimi secondo il diritto del conflitto armato e quindi distinti dal regime legale durante il tempo di pace regolato dal diritto internazionale dei diritti umani.
Quando è giusto combattere
Le leggi del conflitto armato si trovano principalmente nelle Regole dell’Aia del 1907, nelle Quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e nei Protocolli Aggiuntivi I e II del 1977. Questo corpo di legge si basa su un equilibrio grezzo tra preoccupazioni umanitarie da un lato e vantaggio e necessità militare dall’altro. I processi di Norimberga definirono l’esigenza militare come il permesso di “usare qualsiasi quantità e tipo di forza per sottomettere completamente il nemico...” purché vite e proprietà non siano distrutte per vendetta o brama di uccidere. Pertanto, l’uso lecito della forza in guerra, sebbene ampio, non è illimitato.
Nel diritto internazionale, la legittima difesa è la giustificazione legale di uno Stato per impiegare forza armate e dichiarare guerra. Questo si chiama jus ad bellum, che indica “le condizioni in cui è giusto combattere”. Il diritto di combattere in legittima difesa è diverso dallo jus in bello, i principi e le leggi che regolano i mezzi e i metodi della guerra stessa. Lo jus ad bellum mira a limitare l’uso della forza armata in conformità con l’articolo 2 (4) della Carta delle Nazioni Unite; la sua unica giustificazione, come stabilito nell’articolo 51, è in risposta a un attacco armato (o una minaccia imminente in conformità con il diritto consuetudinario in materia). L’unico altro modo lecito per iniziare una guerra, secondo l’articolo 51, è con il via libera del Consiglio di Sicurezza, un’opzione riservata - almeno in teoria - alla difesa o al ripristino della pace e della sicurezza internazionale.
Una volta iniziato il conflitto armato, indipendentemente dalla sua ragione o legittimità, scatta il quadro legale dello jus in bello. Pertanto, quando è in atto un’occupazione, il diritto di iniziare la forza militarizzata dopo un attacco armato, diversamente dalla forza di polizia per ripristinare l’ordine, non spetta allo Stato occupante. L’inizio di un’occupazione militare segna il trionfo di un belligerante su un altro. Nel caso di Israele, la sua occupazione della Cisgiordania, della Striscia di Gaza, delle Alture del Golan e del Sinai nel 1967 ha segnato una vittoria militare contro i belligeranti arabi.
La Legge sull’Occupazione proibisce a una potenza occupante di iniziare la forza armata contro il proprio territorio occupato. Un attacco armato, anche coerente con la Carta delle Nazioni Unite, con l’occupazione militare è già avvenuto e si è concluso. Pertanto, Israele non ha diritto all’autodifesa, per definizione dal 1967, contro minacce reali o percepite provenienti dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza. Per raggiungere i suoi obiettivi di sicurezza, Israele può ricorrere solo ai poteri di polizia, o all’uso eccezionale della forza militarizzata, conferitigli dal diritto internazionale umanitario. Non significa che Israele non possa difendersi, ma tali misure difensive non possono assumere la forma della guerra né essere giustificate come autodifesa nel diritto internazionale. Come spiega Ian Scobbie:
Equipararle vuol dire confondere la denotazione legale con quella linguistica del termine "difesa". Come “negligenza”, in diritto, non significa “disattenzione”, ma una elaborata struttura dottrinale, così “autodifesa” si riferisce a una dottrina complessa che ha uno scopo molto più limitato delle normali nozioni di “difesa”.
Sostenere che Israele si sta “difendendo” quando attacca militarmente Gaza conferisce al potere occupante il diritto di usare sia la forza di polizia sia la forza militare in un territorio che occupa. Una potenza occupante non può giustificare la forza militare come autodifesa in un territorio di cui è responsabile come occupante. Il problema è che Israele non ha mai agito in conformità con la Legge sull’Occupazione, né in Cisgiordania né a Gaza.
I tentativi di Israele di cambiare il diritto internazionale
Fin dall’inizio dell’occupazione, nel 1967, Israele ha respinto l’applicabilità del diritto umanitario internazionale al Territorio Palestinese Occupato (TPO). Nonostante l’imposizione del governo militare sulla Cisgiordania e Gaza, Israele ha negato l’applicabilità della Quarta Convenzione di Ginevra sulla protezione delle persone civili in guerra (la pietra angolare della Legge sull’Occupazione). Secondo Israele, poiché i territori non costituivano uno Stato sovrano né erano territori sovrani di Stati sradicati al momento della conquista, esso li amministrava e non li occupava nel significato del diritto internazionale. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Corte Internazionale di Giustizia, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nonché la Corte Suprema di Giustizia di Israele hanno respinto categoricamente la posizione del governo israeliano. In particolare, la Corte Suprema di Giustizia riconosce l’intera portata delle Regole dell’Aia e le disposizioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949 sull’occupazione militare come diritto internazionale consuetudinario.
Il rifiuto di Israele di riconoscere lo status occupato del territorio, sostenuto dalla resiliente e intransigente opposizione degli Stati Uniti all'accountability internazionale nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha portato alla situazione di oggi: una prolungata occupazione militare. Se la soluzione all’occupazione è cessarla, questo non basta per rimediare a un’occupazione militare prolungata. A causa dei decenni di governo militare, Israele ha caratterizzato tutti i palestinesi come minaccia per la sicurezza e i cittadini ebrei come potenziali vittime, giustificando così il trattamento differenziato e violento dei palestinesi. Nel 2012, il Comitato delle Nazioni Unite per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale ha descritto le condizioni attuali, dopo decenni di occupazione e repressione, come equiparabili all'apartheid.
In completa noncuranza per il diritto internazionale e le sue conclusioni istituzionali, Israele continua a trattare il Territorio Occupato come colonia. Dall’inizio della seconda Intifada nel 2000, Israele ha fatto credere di essere coinvolto in un conflitto armato internazionale al di sotto della soglia di guerra in Cisgiordania e Striscia di Gaza. Di conseguenza, sostiene di poter 1) invocare la legittima difesa, ai sensi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, e 2) utilizzare la forza oltre quanto consentito nelle operazioni di mantenimento dell’ordine, anche in contesto di occupazione.
La Striscia di Gaza non è il World Trade Center
Per far sembrare la violenza nei tPo conforme al diritto all’autodifesa, Israele ha citato le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 1368 (2001) e 1373 (2001). Queste sono state adottate in risposta agli attacchi di Al-Qaeda agli Stati Uniti l’11 settembre 2001. Affermano che tali atti terroristici costituiscono minacce alla pace e alla sicurezza internazionali e quindi attivano l’articolo 51 della Carta dell’ONU, consentendo l’uso della forza in autodifesa. Israele ha intenzionalmente classificato tutti gli atti di violenza palestinese, anche quelli rivolti esclusivamente a obiettivi militari legittimi, come atti terroristici. In secondo luogo, li presenta come attacchi armati che attivano il diritto di autodifesa ai sensi dell’articolo 51, indipendentemente dallo status di Cisgiordania e Gaza come Territorio Occupato.
Il Governo israeliano ha esposto chiaramente la sua posizione nel caso del 2006 dell’Alta Corte di Giustizia, che contestava la legalità della politica di omicidio mirato (Public Committee against Torture in Israel et al v. Government of Israel). Lo Stato ha sostenuto che, nonostante il dibattito legale esistente, “non c’è dubbio che il terrorismo contro Israele rientri nella definizione di attacco armato”, consentendogli di usare la forza militare contro tali entità. Pertanto, gli ufficiali israeliani sostengono che le leggi della guerra possano applicarsi sia al territorio occupato che al territorio non occupato, purché vi sia un conflitto armato in corso, e che l’uso lecito della forza non è limitato alle operazioni di mantenimento dell'ordine. La ACG l’ha confermato in almeno tre decisioni: Public Committee Against Torture in Israel et al v. Government of Israel, Hamdan v. Southern Military Commander, e Physicians for Human Rights v. The IDF Commander in Gaza. Queste sentenze autorizzano la posizione del governo coinvolto in un conflitto armato internazionale e, pertanto, il suo uso della forza non è limitato dalle leggi sull’occupazione. La magistratura israeliana autorizza lo Stato a usare la forza di polizia per controllare la vita dei palestinesi (ad esempio, attraverso arresti continui, procedimenti giudiziari, posti di blocco) e la forza militare per reprimere la loro resistenza all’occupazione.
La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha affrontato queste questioni nella sua valutazione dell’uso lecito della forza nella Cisgiordania Occupata nel Parere consultivo del 2004, Conseguenze legali della costruzione di un muro nel Territorio Palestinese Occupato. La CIG sostiene che l’articolo 51 contempla un attacco armato da uno Stato a un altro Stato e “Israele non afferma che gli attacchi contro di esso siano imputabili a uno Stato straniero”. Inoltre, poiché la minaccia per Israele “viene dall’interno e non dall’esterno” della Cisgiordania Occupata,
La situazione è diversa da quella contemplata dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 1368 (2001) e 1373 (2001), quindi Israele non può invocarle a sostegno del suo presunto diritto di autodifesa. Dunque, la Corte conclude che in questo caso l’articolo 51 della Carta non ha rilevanza.
Nonostante la decisione della CIG, Israele insiste a esercitare un presunto diritto legale di autodifesa nelle operazioni militari in Cisgiordania e Striscia di Gaza. Dal 2005, Israele ha leggermente modificato la sua posizione sulla Striscia di Gaza. Il governo continua a dire che, dopo il suo disimpegno unilaterale nel 2005, l’occupazione è giunta al termine. Nel 2007, il governo ha dichiarato la Striscia di Gaza un’“entità ostile” e ha dichiarato guerra al territorio su cui continua a esercitare il controllo effettivo come Potenza Occupante. Per approfondire si può consultare questo articolo di Lisa Hajjar.
Di fatto, Israele distorce/reinterpreta il diritto internazionale per giustificare l’uso della forza militarizzata e proteggere la sua autorità coloniale. Pur respingendo l’applicazione de jure del Diritto di Occupazione, esercita il controllo effettivo sulla Cisgiordania e Gaza e ricorre ai poteri di polizia. Li utilizza per continuare l’espansione coloniale e l’apartheid per poi, contro il diritto internazionale, citare il diritto all’autodifesa per far guerra alla popolazione che dovrebbe proteggere. L’invocazione della legge per proteggere la sua presenza coloniale rende la popolazione civile palestinese doppiamente vulnerabile. In particolare, nel caso di Gaza,
Più in generale, Israele sta lentamente spingendo i confini del diritto vigente, in un esplicito tentativo di ridefinirlo. Questo è un affronto all’ordine legale umanitario internazionale, che mira a proteggere i civili in tempi di guerra minimizzandone le sofferenze. I tentativi di Israele hanno avuto successo nel campo delle relazioni pubbliche, come dimostrato dal sostegno incritico del Presidente Obama agli attacchi recenti di Israele su Gaza come esercizio del diritto di autodifesa. Poiché il diritto internazionale manca di un'autorità gerarchica di applicazione, il suo significato e la sua portata dipendono fortemente dalla prerogativa degli Stati, specialmente quelli più potenti. Le implicazioni di questo cambiamento sono quindi tangibili e pericolose.
La mancata osservanza della legge consentirebbe agli Stati di comportarsi secondo il loro capriccio a favore dei propri interessi nazionali, anche quando fosse dannoso per i civili disarmati e per l’ordine legale internazionale. Purtroppo o per fortuna, l’onere di resistere a questo cambiamento e preservare la protezione dei civili ricade sui cittadini, sulle organizzazioni e i movimenti di massa che possono influenzare i governi nell’applicazione del diritto internazionale. L’unico modo per cambiare il comportamento degli Stati è la mobilitazione politica.
Questo articolo è stato pubblicato su Jadaliyya. È stato originariamente pubblicato nel 2012 e è stato ripubblicato l’11 luglio 2014 alla luce della dichiarazione di Israele per cui i suoi attacchi attuali [2014] sulla Striscia di Gaza sarebbero un esercizio di legittima autodifesa.