La causa ultima (Andrea Dworkin, 1975)
[Presentato al Massachusetts Institute of Technology, Cambridge il 26 settembre del 1975. Da Our Blood, cap. 9.]
E le prime cose da conoscere sono i principi e le cause. Poiché è da o attraverso esse che possiamo conoscere tutto il resto…
Aristotele, Metafisica, Libro I
Stasera vorrei parlarvi di realtà e possibilità. Le realtà sono brutali e selvagge; le possibilità possono sembrarvi, francamente, impossibili. Voglio ricordarvi che un tempo tutti credevano che la terra fosse piatta. Tutta la navigazione si basava su questa credenza. Tutte le mappe erano disegnate per meglio delineare questa credenza. Io la chiamo credenza, ma allora era una realtà, l'unica realtà immaginabile. Lo era perché tutti la credevano vera. Tutti la credevano vera perché sembrava tale. La terra sembrava piatta; non c’era occasione in cui non avesse, in lontananza, dei bordi da cui si poteva precipitare; si credeva che, da qualche parte, ci fosse un confine oltre il quale ci fosse il nulla. L’immaginazione era circoscritta (com’è spesso anche ora) da sensi fisici naturalmente limitati e culturalmente condizionati, e da questi sensi si concluse che la terra era piatta. Questo principio di realtà non era solo teoretico; era praticato. Le navi non si spingevano a largo perché nessuno voleva navigare oltre il confine della terra; nessuno voleva morire in un modo così agghiacciante, per un’azione tanto stupida e azzardata. Dove la navigazione era una delle maggiori attività, il terrore di subire un simile fato era tanto palpabile quanto raccapricciante.
Poi, come ben sappiamo, un certo Cristoforo Colombo in qualche modo ebbe l’idea che la terra fosse tonda. Immaginò che l’estremo oriente si potesse raggiungere navigando verso occidente. Non sappiamo come ci sia arrivato; ma l’ha pensato, e una volta pensato, non poté non pensarci. Per molto tempo, prima di conoscere la Regina Isabella, nessuno lo ascoltò o prese seriamente la sua idea, perché era palesemente fuori di testa. Se una cosa era certa, era che la terra fosse piatta. Ora guardiamo le fotografie della terra scattate dallo spazio, e non ci ricordiamo più di quando tutti credevano che la terra fosse piatta.
È una storia che si ripete. Marie Curie ebbe la strana idea che esistesse un elemento ancora sconosciuto, attivo, in continua evoluzione, vivo. Tutta la scienza si ergeva sulla nozione che gli elementi fossero inattivi, inermi, stabili. Derisa, privata di un laboratorio consono dalla comunità scientifica, condannata alla povertà e all’ignominia, Marie Curie—con suo marito, Pierre— continuò indefessa a voler isolare il radio (che era, all’inizio, un figmento della sua immaginazione). La sua scoperta stravolse i principi della fisica e della chimica. Ciò che era reale prima di questa scoperta, subito dopo smise di esserlo.
Dunque, i principi “consolidati” della realtà, difesi universalmente e violentemente, spesso nascono dalla profonda ignoranza. Non sappiamo cosa e quanto non sappiamo. Ignorando la nostra ignoranza, anche se si è dimostrata più volte, continuiamo a credere che la realtà sia quello che sappiamo.
Tra i principi assodati della realtà, creduti universalmente e rispettati con violenza, è che ci siano due sessi—uomo e donna—e che non siano solo distinti, ma opposti. Il modello con cui spesso si descrive la natura dei due sessi è quello dei poli magnetici. Il sesso maschile è il polo positivo, il sesso femminile quello negativo. Avvicinati, i campi magnetici dei due sessi dovrebbero interagire, legandoli in un insieme perfetto. Ovviamente, due poli uguali dovrebbero respingersi a vicenda.
Il sesso maschile, attenendosi alla sua denominazione positiva, ha qualità positive; e il sesso femminile, attenendosi alla sua denominazione negativa, non ha nessuna delle qualità maschili. Per esempio, secondo questo modello, gli uomini sono attivi, forti e coraggiosi; le donne sono passive, deboli e pavide. In altre parole, quello che hanno gli uomini, alle donne manca; quello che agli uomini riesce, alle donne no; qualunque capacità abbiano gli uomini, le donne non l’hanno. L’uomo è il positivo e la donna è il suo negativo.
Chi difende questo modello dice che è giusto perché è intrinsecamente egualitario. Ogni polo dovrebbe avere una sua dignitosa identità; sono entrambi necessari per formare un insieme armonioso. Questa idea, ovvio, si basa sulla convinzione che le affermazioni sul carattere dei sessi siano vere; che l’essenza dei sessi sia descritta accuratamente. In breve, dire che l’uomo è positivo e la donna è negativa è come dire che la sabbia è asciutta e l’acqua è bagnata: sono caratteristiche oggettive, non implicano nessun giudizio di valore. Simone de Beauvoir rivela la fallacia della dottrina di “uguaglianza nella differenza” nella prefazione de Il secondo sesso:
In verità la relazione tra i due sessi non è . . . come quella tra due poli elettrici, in quanto il maschio rappresenta tanto il positivo quanto il neutro, come indicato dal comune uso del termine uomo per indicare il genere umano nel generico; al contrario, la femmina rappresenta esclusivamente il negativo, definita da criteri di limite, senza reciprocità… “La femmina è tale in virtù di una certa deficienza di qualità”, diceva Aristotele; “dovremmo considerare la natura femminile come afflitta da una malformazione naturale.” E San Tommaso di canto suo parlò della donna come “un uomo imperfetto”, un essere “incidentato” . . . Dunque, l’umanità è maschile e l’uomo definisce la donna non in quanto sé stessa ma come relativa a lui; non è riconosciuta come essere autonomo.1
Questa visione distorta della donna come negativo dell’uomo, “femmina in virtù di una certa deficienza di qualità,” appesta tutta la cultura. È il cancro alle interiora di ogni sistema politico ed economico, di ogni istituzione sociale. Il marciume che rovina ogni relazione umana, infesta ogni realtà psicologica umana, distrugge la fibra stessa dell’identità umana.
Questa visione patologica della negatività femminile è stata marchiata a fuoco per millenni sulla nostra pelle. La mutilazione brutale del corpo femminile, al fine di distinguerci inequivocabilmente dagli uomini, si è spaventosamente diffusa. Ad esempio, in Cina, per un millennio, i piedi delle donne venivano deformati con le fasciature. Quando una bambina compiva sette o otto anni, le coprivano i piedi di allume, un elemento chimico astringente. Le piegavano le dita—tranne gli alluci—verso le piante dei piedi, fasciandole il più possibile. Questo procedimento si ripeteva più volte per circa tre anni. La bambina, agonizzante, veniva obbligata a camminare. Si formavano calli durissimi; le unghie crescevano nella carne; i piedi si riempivano di pus e sangue; la circolazione era interrotta; spesso gli alluci cadevano. Il piede ideale consisteva in tre pollici di carne marcita e maleodorante. Gli uomini erano positivi e le donne negative, perché gli uomini potevano camminare e le donne no. Gli uomini erano forti e le donne deboli, perché gli uomini potevano camminare e le donne no. Gli uomini erano indipendenti e le donne dipendenti, perché gli uomini potevano camminare e le donne no. Gli uomini erano virili perché le donne erano storpie.
Quest’atrocità contro le donne cinesi è solo un esempio del sadismo sistematico sui corpi delle donne per fare di noi l’opposto, il negativo degli uomini. Siamo state, e veniamo, calpestate, frustate, picchiate e assalite; siamo state, e veniamo, costrette in vestiti che distorcono i nostri corpi, che rendono il movimento e il respiro difficile e doloroso; siamo state, e siamo, trasformate in ornamenti, talmente private di presenza fisica da non poter correre o saltare o arrampicarci, neanche camminare in una postura naturale; siamo state, e siamo, velate, con le nostre facce coperte da strati di soffocante tessuto o di trucco, così da negarci anche il possesso dei nostri visi; siamo state, e siamo, costrette a depilarci ascelle, gambe e sopracciglia, e spesso anche le nostre zone intime, così che gli uomini possano rivendicare, senza contraddizione, la positività della loro pelosa virilità. Siamo state, e veniamo, sterilizzate contro la nostra volontà; uteri rimossi senza motivo; clitoridi asportati; seni e pettorali rimossi con abbandono entusiasta. Quest’ultima procedura, la mastectomia radicale, risale a ottant’anni fa. Vi chiedo di pensare a quanto siano evolute le armi negli ultimi ottant’anni: bombe nucleari, gas velenosi, laser, bombe sonore e quant’altro; e di rapportare lo sviluppo della tecnologia alle donne. Perché le donne sono mutilate ancora così promiscuamente nella chirurgia; perché è emersa questa mutilazione selvaggia-la mastectomia radicale-se non per enfatizzare la negatività delle donne rispetto agli uomini? Queste mutilazioni fisiche sono marchi che ci designano femmine, negando e distruggendo i nostri stessi corpi.
Nel bizzarro mondo degli uomini, il primo emblema fisico della negatività delle donne è la gravidanza. Le donne possono partorire; gli uomini no. Ma se gli uomini sono positivi e le donne negative, l’incapacità di partorire è una caratteristica positiva, e il poter partorire è negativa. Essendo questa la facoltà che meglio distingue le donne dagli uomini, e visto che la negatività femminile è costituita per contrasto alla positività maschile, la facoltà riproduttiva è strumentalizzata prima per stabilire, poi per confermare, la negatività e inferiorità della donna. La gravidanza diviene un marchio fisico, un segno che evidenzia la gestazione come autenticamente femminile. Il parto, in particolare, diventa la forma e sostanza della negatività femminile.
Ancora, pensate alla tecnologia in relazione alle donne. Mentre gli uomini vanno sulla luna e un loro satellite approccia Marte, la contraccezione rimane scandalosamente arretrata. I contraccettivi più efficaci sono la pillola e la spirale. La pillola è velenosa e la spirale è sadica. Se una donna volesse prevenire il concepimento, o fallirebbe per l’inefficacia dei metodi, rischiando di morire nel parto; o rischierebbe terribili malori per la pillola o dolori agonizzanti per la spirale—e ovviamente, in entrambi i casi, la morte è un rischio molto tangibile. Ora che le tecniche abortive sono sviluppate, le donne non possono accedervi. Gli uomini fanno in modo che le donne continuino a rimanere incinte per incarnare la negatività femminile, confermando la positività maschile.
Se la violenza fisica contro la vita delle donne è terrificante, le violenze sulle nostre facoltà intellettuali e creative non sono da meno. Rassegnate a una vita intellettuale e creativa negativa, per affermare tali capacità negli uomini, le donne sono considerate idiote; la femminilità è praticamente sinonimo di stupidità. Siamo così femminili che le nostre facoltà mentali sono annichilite o ripudiate. Per assodare questo aspetto della nostra negatività, ci è sistematicamente negato l’accesso all’educazione formale, e ogni dimostrazione di intelligenza naturale è punita fino a farci dubitare delle nostre percezioni, fino a impedirci di onorare i nostri impulsi creativi, di esercitare le nostre facoltà critiche, di coltivare la nostra immaginazione e di valorizzare il nostro acume, mentale o morale che sia. Ogni nostro operato intellettuale o creativo viene sminuito, ignorato o ridicolizzato, cosicché anche le menti resistite all’ignominia arrivano al suicidio o alla pazzia, o tornino a sposarsi e riprodursi. Ci sono pochissime eccezioni a questa inesorabile regola.
La manifestazione letteraria più vivida di patologica negazione femminile la si può trovare nella pornografia. La letteratura è sempre l’espressione più eloquente dei valori culturali; ed è la pornografia ad articolare il distillato più puro di tali valori. Nella pornografia letteraria, dove il sangue delle donne scorre senza il limite della resistenza biologica, l’ethos di questa cultura omicida maschio-positiva si rivela nella sua forma più essenziale: il sadismo degli uomini si nutre del masochismo femminile; il dominio maschile si alimenta sulla soggezione delle donne.
Nel porno, il sadismo è il mezzo con cui gli uomini stabiliscono il loro dominio. È l’autentico esercizio di potere che conferma la virilità; e la prima caratteristica della virilità è che la sua esistenza si basa sulla negazione della donna. La virilità può affermarsi solo con una degradante umiliazione delle donne, un’umiliazione che non si ferma finché il corpo e l’arbitrio della vittima sono stati distrutti.
Nella pornografia letteraria, il cuore pulsante dell'oscurità al centro del sistema positivo maschile è esposto in tutta la sua terrificante nudità. Il cuore dell'oscurità è che il sadismo sessuale attualizza l'identità maschile. Le donne sono torturate, frustate e incatenate; le donne sono legate e imbavagliate, marchiate e bruciate, tagliate con coltelli e fili; le donne sono coperte di piscio e merda; i seni vengono perforati da aghi roventi, le ossa sono rotte, i loro ani strappati, le bocche devastate, le fiche selvaggiamente malmenate da pene dopo pene, dildo dopo dildo. Tutto questo per dare al maschio un modo di rassicurarsi del proprio valore.
Di solito, nel porno, alcune di queste macabre crudeltà avvengono in contesti pubblici. Un uomo non ha totalmente controllo su una donna (non è completamente maschio) finché la sua umiliazione non è vista e derisa pubblicamente. Ovvero, quando un uomo stabilisce il dominio deve anche stabilire il possesso pubblicamente. Questo possesso è comprovato quando un uomo può umiliare una donna davanti e per il piacere dei suoi simili, e lei nonostante tutto gli resta fedele. È ulteriormente rinforzato quando un uomo può trattare una donna come oggetto sessuale, o offrirla a un altro o altri. Queste transazioni rendono il suo possesso di lei una questione di dominio pubblico, e lo rendono più rispettabile agli occhi degli altri uomini. Provano che lui non solo ha assoluta autorità sul corpo di lei, ma anche sulla sua mente. Ciò che per una donna può essere iniziato come sottomissione a un uomo in particolare per “amore” di lui (e di ciò che, in questo senso, è congruente con la sua integrità per come lei la riconosce) deve finire per annientare anche quella pretesa di individualità. L’individualità del possesso (“sono io il padrone”) è rivendicata dal maschio; ma alla donna o nella donna non va lasciato nulla che possa portarla a rivendicare una dignità personale, neanche la poca dignità di credere “sono l’esclusiva proprietà dell’uomo che mi degrada.” Allo stesso modo, e per le stesse ragioni, deve vedere l’uomo che la possiede esercitare il suo sadismo sessuale su altre. Questo le toglie l’ultimo granello di dignità che deriva dal credere, “io sono l’unica,” o “vengo apprezzata e la mia identità è risaltata quando lui degrada me,” oppure “sono diversa dalle altre perché lui ha scelto me.”2
La pornografia del sadismo maschile include quasi sempre una visione idealizzata o falsa della solidarietà maschile. L’utopico assunto maschile su cui si basa la premessa della pornografia maschile è questo: se la virilità è stabilita e confermata su e contro i corpi brutalizzati delle donne, gli uomini non devono aggredirsi a vicenda; ovvero, le donne assorbono la violenza degli uomini per salvaguardarli l’uno dall’altro. Ogni uomo, conoscendo il proprio profondo impulso alla ferocia, suppone che l’abbiano anche gli altri uomini e desidera proteggersi. I rituali di sadismo maschile su e contro i corpi delle donne sono i modi in cui l’aggressività maschile è socializzata, cosicché ogni uomo si possa relazionare agli altri uomini senza l’imminente pericolo di subirne la violenza. Il comune progetto erotico di distruggere le donne permette agli uomini di costituire una fratellanza; questo progetto è l’unica base solida e affidabile per la cooperazione tra maschi, e tutti i legami tra maschi si fondano su di esso.
Questa visione idealizzata della solidarietà maschile svela il carattere intrinsecamente omosessuale della società maschile. Gli uomini usano i corpi delle donne per formare alleanze e legami tra loro. Per guadagnare potere riconoscibile che certifichi l’identità maschile agli occhi degli altri uomini. Per intraprendere transazioni sociali civili e pacifiche tra loro. Crediamo di vivere in una società eterosessuale perché la maggior parte degli uomini vedono le donne come oggetti sessuali; ma, di fatto, viviamo in una società omosessuale poiché tutte le vere transazioni di potere, autorità e autenticità avvengono tra uomini; tutte le transazioni basate sull’equità e sull’individualità avvengono tra uomini. Gli uomini sono reali; dunque, tutte le vere relazioni, comunicazioni, reciprocità e mutualità avvengono tra uomini. L’eterosessualità, che si può definire come il dominio sessuale degli uomini sulle donne, è come una ghianda: da essa cresce la solida quercia della società omosessuale. Una società di uomini, fatta da uomini per uomini, dove la positività della collettività maschile è realizzata con la negativizzazione delle donne, annientando i loro corpi e la loro autonomia.
Nella pornografia letteraria, il distillato della vita che conosciamo, le donne sono buchi aperti, fiche calde, tubi da fottere e così via. Il corpo femminile deve consistere in tre buchi vuoti, progettati per farsi riempire dall’erezione della positività maschile.
La stessa forza vitale delle donne è caratterizzata come negativa: ci definiscono intrinsecamente masochiste; cioè, predisposte al dolore e all’abuso, all’autodistruzione, all’annientamento. E questa predisposizione alla negatività è proprio ciò che ci definisce donne. Ovvero, nasciamo per essere distrutte. Il masochismo sessuale attua la negatività femminile, così come il sadismo sessuale per la positività maschile. La femminilità erotica di una donna si misura in base a quanto vuole essere ferita, posseduta, abusata, sottomessa, picchiata, umiliata e degradata. Ogni donna che rifiuta questi presunti bisogni, o che si ribella contro i valori insiti in essi, o che rifiuta di sancire o partecipare alla sua autodistruzione è definita deviata, una che rifiuta la femminilità, bisbetica, stronza, ecc. Tipicamente, queste deviate vengono ricondotte sulla retta via con lo stupro, le violenze di gruppo o altre forme di coercizione. La teoria sarebbe che una volta assaggiata la dolcezza intossicante della sottomissione, le donne si precipiteranno come lemmini verso l’autodistruzione.
L’amore romantico, nel porno come nella realtà, è la mitica celebrazione della negativizzazione femminile. Per le donne, l’amore è definito dalla sua disposizione a sottomettersi al suo annientamento. Come si dice, le donne sono fatte per amare: cioè, per sottomettersi. L’amore, o la sottomissione, devono essere la sostanza e lo scopo della loro vita. Per le donne, la capacità di amare è sinonimo con quella di sopportare e desiderare l’abuso. Per le donne, la prova d’amore è l’essere pronte ad essere distrutte da colui che si ama, per il suo volere. L’amore, per le donne, è sempre sacrificio, dell’identità, della volontà, e dell’integrità corporea, per realizzare e redimere la mascolinità del loro amante.
Nel porno, vediamo l’amore delle donne nella sua crudezza, il suo nudo scheletro erotico. Possiamo quasi sfiorare i resti delle donne che ne sono perite. L’amore è l’impulso erotico masochista; l’amore è la passione sfrenata che condanna una donna ad accettare un’ignobile vita in catene; l’amore è il corrosivo impulso sessuale che spinge alla degradazione e all’abuso. La donna si dona letteralmente al maschio; lui la prende e la possiede, letteralmente.
La scopata, nel porno e nella vita, è la prima transazione che esprime tale sottomissione femminile e possessione maschile. É l’ultima espressione fisica della positività maschile e della negatività femminile. La relazione tra sadico e masochista non nasce nella scopata, ma qui si esprime e si rinnova.
Per il maschio, scopare è un atto compulsivo, nel porno e nella vita. Ma nella vita, a differenza del porno, è pericoloso e angosciante. Quel sacro organo della positività maschile, il fallo, penetra il vuoto femminile. Nella penetrazione, tutto il maschio si riduce al pene. Il suo essere e la sua volontà di dominio diventano tutt’uno; il pene eretto è la sua identità; tutte le sensazioni si riconducono a esso, mentre il resto del corpo resta inerme, come morto. Nella penetrazione, l’esistenza del maschio è sia a rischio sia rinforzata. Il suo pene e il suo sé saranno forse inghiottiti dal vuoto femminile, consumati, fagocitati e distrutti? La sua virile positività sarà intossicata da quella negatività nociva? La sua esile mascolinità sarà contaminata dalla schiacciante tossicità femminile? O forse uscirà intatto dal terrificante vuoto del foro anatomico femminile; forse riuscirà a reificare la sua positività, perché-anche dentro di lei-è riuscito a proteggere la polarità di maschio e femmina, salvaguardando la distinzione e l’integrità della sua spranga d’acciaio. Forse la sua mascolinità sarà confermata, perché non ha perso se stesso fondendosi con la femminilità, non si è dissolto in lei, non è diventato lei né come lei, non è stato sottomesso a lei.
Questo pericoloso viaggio nel vuoto femminile va intrapreso ripetutamente, compulsivamente, perché di per sé la mascolinità è nulla. Non esiste di per sé; è reale solo se sovrasta o antagonizza la negatività femminile, o vi si pone in contrasto. La mascolinità può essere attuata, raggiunta, riconosciuta e incarnata solo ponendosi in contrasto alla femminilità. Quando gli uomini postulano il sesso, la violenza e la morte come verità erotiche elementari, intendono questo: che il sesso, la scopata, è l’atto che gli permette di vivere nel modo più concreto la loro realtà, identità o mascolinità; che la violenza, o il sadismo, è il mezzo con cui attuano la realtà, identità o mascolinità; e che la morte, o la negatività, o il nulla, o la contaminazione del femminile è il rischio che corrono ogni volta che penetrano ciò che credono il vuoto della cavità femminile.
Ma allora, cosa si intende quando si dice che agli uomini piace scopare? Come può un atto così pieno d’angoscia per la perdita del sé, del pene, essere piacevole? Come può un’azione così ossessiva, spaventosa, essere definita piacevole?
Primo, bisogna capire che questa è proprio la dimensione delle fantasie pornografiche. Negli ambienti rarefatti del porno maschile, l’angoscia maschile è esclusa dalla scopata, censurata, tagliata. Il sadismo sessuale maschile magistralmente rappresentato nel porno è reale; le donne lo vivono nel quotidiano. Il dominio maschile su e contro la pelle delle donne è reale; le donne lo vivono ogni giorno. Gli abusi brutali che soffrono i corpi femminili nei porno sono reali; le donne ne soffrono su scala globale, giorno dopo giorno, anno dopo anno, generazione dopo generazione. L’irrealtà, la fantasia, è la tesi maschile alla base del porno: che per loro scopare è un’estasi, il piacere più assoluto, una benedizione incontaminata, un atto naturale e semplice privo di qualunque terrore, angoscia, paura. Niente nella realtà conferma questa tesi. Se consideriamo il massacro dei nove milioni di streghe in Europa, nato dal terrore maschile per la carnalità delle donne; o il fenomeno dello stupro, che svela la scopata come atto di estrema ostilità verso il nemico femminile; o l’impotenza, che rappresenta l’involontaria incapacità di entrare nel vuoto femminile; o il mito della vagina dentata derivato da una fobia paralizzante per i genitali femminili; o i tabù sulla mestruazione come manifestazione del terrore maschile, confermiamo che nella realtà il maschio è ossessionato dalla sua paura per la femmina, e che questa paura gli si rivela più limpidamente mentre scopa.
Secondo, bisogna capire che il porno è un tipo di propaganda che serve a convincere il maschio che non bisogna avere paura, che lui non ha paura; serve a convincerlo a scopare; serve a convincerlo che scopare è una gioia inaudita; a celargli la realtà del suo terrore, offrendogli una piacevole fantasia pornografica da assimilare come dogma e con cui dominare le donne come ci si aspetta da un vero uomo. Potremmo dire che nel porno le frustate, le catene e le altre macchine di tortura servono a coprire la menzogna pornografica per cui la scopata deriva dalla virilità come la luce dal sole. Ma nella vita, neanche l’abuso sistematizzato delle donne e la loro sottomissione globale agli uomini basta a sradicare il terrore intrinseco al maschio mentre scopa.
Terzo, bisogna capire che ciò che il maschio percepisce come piacere autentico è l’affermazione della sua identità maschile. Ogni volta che sopravvive al viaggio nel vuoto femminile, la sua mascolinità è reificata. Ha dimostrato di non essere come lei e di non essere come gli altri uomini. Nessun piacere sulla terra è pari a quello di essersi dimostrato reale, positivo e non negativo, uomo e non donna, vero membro del gruppo che domina ogni essere vivente.
Quarto, bisogna capire che nel sistema sessuale di positività maschile e negatività femminile, la scopata non ha letteralmente nulla, se non l’accidentale frizione clitoridea, che riconosca o attualizzi il vero erotismo delle donne, anche se sopravvissuto a condizioni di schiavitù. Nei confini del sistema maschio-positivo, questo erotismo non esiste. Del resto, il negativo è sempre e solo negativo. Scopare è un atto del tutto maschile, progettato per affermare la realtà e il potere del fallo, della mascolinità. Per le donne, il piacere dell’essere scopate è quello masochistico dell’esperienza di autonegazione. Nel sistema maschio-positivo, tale piacere è sia mitizzato sia mistificato, per far credere alle donne di essere soddisfatte dal proprio altruismo, di godere del dolore, di essere valorizzate dai sacrifici, di essere femminili se sottomesse agli uomini. Spinte dalla nascita a rispettare i requisiti di questa peculiare visione del mondo, severamente punite se non impariamo a dovere la sottomissione masochistica, completamente limitate dal sistema maschio-positivo, poche donne riescono a sentirsi reali in sé e per sé. Al contrario, le donne si sentono reali solo se s’identificano e si legano alla positività maschile. Nell’essere scopate, le donne si legano a colui che è reale di per sé, e tramite lui vivono indirettamente la realtà, così com’è; nell’essere scopate vivono il piacere masochistico della propria negazione, perversamente articolata come il compimento della loro femminilità.
Ora vorrei fare una distinzione fondamentale: quella tra verità e realtà. Per gli umani, la realtà è sociale; è ciò che crede la gente in un determinato momento. Non intendo che la realtà sia il risultato della fantasia o delle coincidenze. Credo che la realtà serva sempre la politica, in particolare la politica sessuale: serve, dunque, a fortificare e giustificare il diritto dei potenti di dominare sugli impotenti. La realtà è l’insieme delle premesse su cui si fondano le istituzioni sociali e culturali. La realtà è anche lo stupro, la frusta, la scopata, l’isterectomia, la clitoridectomia, la mastectomia, i piedi fasciati, i tacchi alti, il corsetto, il trucco, il velo, l’aggressione e le percosse, la degradazione e la mutilazione nelle loro concrete manifestazioni. La realtà è imposta da chi ne trae beneficio, in modo che appaia assoluta. La realtà si autoalimenta: le istituzioni sociali e culturali costruite sulle sue premesse incarnano e rafforzano le premesse stesse. La letteratura, la religione, la psicologia, l’istruzione, la medicina, la scienza della biologia come la conosciamo oggi, le scienze sociali, la famiglia nucleare, lo stato-nazione, la polizia, gli eserciti e il codice civile incarnano tutti l’attuale realtà e ce la impongono. Tale realtà sarebbe, ovviamente, che ci sono due sessi, maschio e femmina; che questi si oppongono tra loro, polarizzati; che il maschio è intrinsecamente positivo e la femmina intrinsecamente negativa; e che i due poli dell’esistenza umana si uniscano in un insieme armonico.
La verità, d’altro canto, non è così accessibile come la realtà. Secondo me, la verità è assoluta nel senso che esiste e può essere scoperta. Il radio, per esempio, è sempre esistito; la sua esistenza è sempre stata vera; ma non era concepito nella comprensione umana della realtà finché Marie e Pierre Curie non lo isolarono. Quando lo fecero, la comprensione umana della realtà dovette cambiare radicalmente per ammettere l’esistenza del radio. Allo stesso modo, la terra è sempre stata sferica; è sempre stato vero; ma finché Colombo non navigò ad ovest per arrivare ad est, non era reale. Potremmo dire che la verità esiste e che lo scopo umano stia nello scovarla, per costruirvi sopra la realtà.
Ho fatto questa distinzione tra verità e realtà per dire una cosa molto semplice: che il binarismo di genere è reale, ma non è vero. Non è vero che esistono solo due sessi distinti e opposti, polari, che si uniscono evidentemente e per natura in un insieme armonico. Non è vero che il maschio incarna sia le qualità positive sia quelle neutre, al contrario della femmina che, in Aristotele e in tutta la cultura maschile, è tale “in virtù di una certa deficienza di qualità.” E quando rifiuteremo questo concetto, rifiuteremo anche l’esistenza stessa di uomini e donne. In altre parole, il sistema basato su questo modello polare dell’esistenza è assolutamente reale, ma non è vero. Viviamo imprigionati da una perniciosa illusione, su cui si basa e prescrive tutta la realtà come la conosciamo.
Secondo me, chi tra noi in questo sistema di realtà è donna non si libererà finché non sarà distrutto l’illusorio binarismo sessuale e il sistema di realtà erto su di esso non sarà eliminato dalla società e dalla memoria umana. Questo è il concetto di trasformazione culturale al cuore del femminismo. Questa è la possibilità rivoluzionaria della lotta femminista.
Per come la vedo io, il nostro compito rivoluzionario è di distruggere l’identità fallica degli uomini e la nonidentità masochista delle donne: di distruggere i poli uomo-donna per come li conosciamo, così che questa divisione della carne umana in due campi (uno un campo armato e l’altro un campo di concentramento) non sia più possibile. L’identità fallica esiste e va distrutta. Il masochismo delle donne esiste e va distrutto. Le istituzioni culturali che rappresentano e proteggono queste aberrazioni interconnesse (come la legge, l’arte, la religione, gli stati-nazione, la famiglia, le tribù, o le comuni basate sulla patria potestà) sono reali e vanno distrutte. Se no, come donne saremo condannate all’eterna inferiorità e sottomissione.
Credo che la liberazione delle donne debba cominciare dal rifiuto del nostro stesso masochismo. Che vada distrutto l’impulso masochistico in noi, alla sua radice sessuale. Che vada coltivata la nostra autenticità, come individui e come gruppo—per viverla, per farne forza creatrice e per impedire agli uomini di reificare la menzogna della mascolinità su e contro di noi. Che sbarazzarci del nostro radicato masochismo, manifestato in tante torture, debba essere la nostra prima priorità; il primo colpo mortale che possiamo sferrare alla supremazia maschile. Allora, reciso il masochismo dalle nostre personalità e costituzioni, recideremo la radice del potere maschile su e contro noi; del valore maschile contro il degrado femminile; dell’identità maschile mantenuta dalla negatività femminile forzata; della virilità stessa. Soltanto quando l’esistenza maschile sarà estinta (e perirà quando perirà questa femminilità deturpata) solo allora conosceremo la libertà.
Simone de Beauvoir, Il secondo sesso
Ibid.